In Almaviva, la storia di un fallimento annunciato.

La conclusione della vicenda legata ai 1666 lavoratori della sezione romana di Almaviva è stata quella più temuta. L’azienda si è presentata al tavolo delle trattative con una proposta a vantaggio solo di se stessa: un taglio netto del costo del lavoro che avrebbe portato la maggior parte dei dipendenti part-time a percepire meno di € 600 mensili. Ma oltre al danno, la beffa.
Al taglio del salario si sarebbe aggiunto un ulteriore ribasso a causa degli ammortizzatori sociali (CIGS 45%).
Alla fine, comunque, l’azienda ha avuto ciò che desiderava. Un taglio al costo delle risorse umane con il licenziamento di 1666 lavoratori. Un alleggerimento che favorirà Almaviva in quanto le consentirà di partecipare tra qualche mese ai prossimi appalti rinegoziando completamente spese ed entrate. Né il governo né l’azienda hanno fatto molto per tentare di salvare il posto di lavoro a tutte queste persone. La logica, come sempre, è stata quella del profitto. Almaviva avrebbe potuto tentare di riequilibrare le attività disponendole tra le varie sedi sul territorio italiano. Invece, durante le negoziazioni, ha saputo solamente spostare le commesse in altre sedi per facilitarne il passaggio. Il governo, tramite inique leggi sul lavoro (vedi articolo 18, controllo a distanza, ammortizzatori sociali, ecc.) si è reso purtroppo complice di questa vicenda e ha reso tristissimo il Natale a 1666 famiglie.
Le politiche attuate e gli accordi firmati nel corso degli anni da parte delle organizzazioni firmatarie, ovviamente, hanno contribuito in modo decisivo affinché si verificasse questo epilogo. Salvo, alla fine dei giochi, dare la colpa alla contingenza economica e alla crisi del settore. Si sono arresi senza lottare, senza manifestare il proprio dissenso e la propria indignazione. Sono tante, d’altronde, le lettere che ci giungono dai lavoratori mandati a casa, a testimonianza di un malessere e di un dissenso profondo alle logiche e alle procedure di questo licenziamento. Ciò che pare chiaro è l’assoluto menefreghismo delle organizzazioni sindacali che avrebbero dovuto tutelarne diritti e di un governo che, invece di proteggere i propri cittadini e la loro dignità, si è limitato a fare la parte dello spettatore. Salvo, alla fine, quando i giochi erano compiuti, cospargersi la testa di cenere con lacrimevoli e discutibili tweet inviati sul web proprio dai responsabili di questo fallimento. Chiedere le dimissioni di queste persone ci sembra quantomeno un atto dovuto in un momento in cui deve essere fondamentale assumersi le proprie responsabilità. In particolare quando si rivestono incarichi di prestigio e si può giocare facilmente con la vita di migliaia e migliaia di persone. Infine, la responsabilità più grande: quella di Almaviva stessa. Un’azienda che non è stata in grado di attuare un piano industriale degno di questo nome, insistendo sulla strada delle gare d’appalto al ribasso massimo e alle delocalizzazioni, senza contare il discorso legato al controllo a distanza, come se fosse quello il fulcro attraverso il quale far ripartire l’azienda. E poi, l’abbattimento del costo del lavoro, che, inutile ricordarlo, non giova affatto sulla produttività perché favorisce il malcontento nei lavoratori. Politiche aziendali prive di alcun progetto di crescita, che non potevano che concludersi in questo modo. E a pagare, come sempre, sono i lavoratori e le loro famiglie.

Segreteria Nazionale
4 Gennaio 2017

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