Il governo ha predisposto la nuova riforma delle pensioni. Dal prossimo anno, i lavoratori che avranno compiuto 63 anni potranno richiedere l’APE, ovvero l’anticipo pensionistico di 3 anni e 7 mesi rispetto ai 66 anni e 7 mesi fissati dalla riforma varata dall’ex ministro Fornero.
Una opportunità che, come è possibile immaginare, in questo Paese, non sarà priva di conseguenze per i lavoratori che ne faranno richiesta né per le casse dello Stato. Il testo sarà presentato e approvato entro l’autunno.
La manovra, secondo le prime stime non ufficiali, dovrebbero costare circa 3 miliardi, a fronte degli 1,5 sostenibili dal governo.
I costi dell’Ape
Maggiori certezze si avranno dopo l’incontro del governo con i sindacati fissato per il 21 settembre. Ad ogni modo, da quel che trapela, potranno ottenere la pensione anticipata a costo zero soltanto i disoccupati che non hanno ottenuto ammortizzatori sociali, i lavoratori che vivono in casi particolari, come quelli che assistono familiari con disabilità, oppure quei lavoratori che svolgono un lavoro particolarmente rischioso o faticoso. Nannicini ha ipotizzato l’esempio di un pensionato che ottiene una pensione di mille euro dall’INPS. Anticipando la pensione di un anno, dovrebbe rinunciare a 50 euro al mese per i successivi 20 anni. Per anticipare la pensione di tre anni, invece, il lavoratore in questione dovrà rinunciare a ben 200 euro mensili (ovvero 48mila euro in vent’anni).
Come si fa
L’Ape non è altro che un prestito che il lavoratore richiede all’INPS per evitare che, sottraendo fondi alle casse dello Stato, l’Europa possa sanzionare il nostro Paese. Il meccanismo è semplice: il lavoratore si rivolge all’INPS, che a sua volta richiede un prestito a una banca per agevolare la fruizione del contributo anticipato. Il prestito in questione servirà all’INPS per coprire i tre anni e 7 mesi massimi richiesti dall’aspirante pensionato (senza quindi andare a distrarre fondi dalle casse dello Stato), al termine dei quali sarà il lavoratore stesso a restituire il denaro anticipato con la detrazione di cui si è parlato in precedenza.
Cosa succederà?
Fino alla presentazione definitiva del testo da parte di Poletti e Nannicini, non si possono fare previsioni. Eppure il governo ha intenzione di inserire alcune modifiche relative ai redditi minimi qualora i conti pubblici lo consentiranno. Non è ancora chiaro quel che accadrà invece in termini di ricongiunzione gratuita dei periodi contributivi. Vi sono infatti numerosissimi lavoratori che hanno versato contributi su casse previdenziali differenti. Il ricongiungimento di questi, però, al momento non è affatto gratuito ed è per questo che il governo sta pensando di reperire i fondi per ampliare la No tax area, quella soglia di reddito minima sotto la quale non si pagano le tasse.
Noi di Cisal Comunicazione consideriamo questa riforma, così com’è oggi, profondamente iniqua e penalizzante nei confronti dei lavoratori e del buon senso. Il problema non sta nel chiedersi se l’Ape possa o non possa essere sostenibile per le casse dello Stato. Semmai, sarebbe più giusto riflettere sulle discriminazioni che questa legge apporterebbe sia sul piano fiscale che su quello sociale. In questo Paese si continua a fomentare l’idea che le pensioni e i pensionati siano un peso per l’erario: tale da necessitare un “prestito” per poter ottenere il giusto pensionamento dopo anni e anni di lavoro e di contributi versati. E già: perché spesso dimentichiamo che ogni lavoratore versa, nel corso della propria vita lavorativa, dei contributi previdenziali che dovrebbero garantirgli la tranquillità necessaria una volta raggiunta l’età pensionabile.
Noi di Cisal Comunicazione non ci stiamo e seguiremo con attenzione l’evoluzione del percorso di legge, nella ferma convinzione che l’unica vera riforma necessaria sia il superamento reale della Legge Fornero, quella che ha discriminato e penalizzato migliaia di carriere e sacrifici di altrettanti lavoratori.